La filiera corta: una opportunità per agricoltori e consumatori

La filiera corta: una opportunità per agricoltori e consumatori

Lo straordinario recupero di popolarità dei mercati contadini (farmers’ markets) e delle altre analoghe forme di vendita diretta dei prodotti agricoli, registrato negli anni recenti, desta sicuramente sorpresa e merita qualche riflessione.
I mercati alimentari di quartiere hanno rappresentato per lungo tempo una delle fonti principali di approvvigionamento di prodotti freschi (ortofrutta, latticini, carne e pesce) per gli abitanti delle città, ma la loro importanza è rapidamente diminuita a causa, da un lato dell’evoluzione dell’industria alimentare e dell’avvento della GDO, (grande distribuzione organizzata), dall’altro del cambiamento e della differenziazione degli stili di vita e di consumo e del ruolo della donna all’interno della famiglia. Al momento sembra vi sia la compresenza di una dimensione commerciale all’interno della quale l’offerta alimentare è molto ampia, di qualità standardizzata, appiattita su marche più o meno note (centro commerciale/ipermercato) e della dimensione basata su rapporti personali e prodotti di elevata qualità (mercato contadino, negozi biologici e di prodotti tipici, gruppi di acquisto solidale).
Anche se può sembrare un ritorno alle vecchie abitudini, in realtà il fenomeno dei mercati contadini assume tratti distinti dal classico mercato rionale. Infatti, in questa ultima formula sono avvenuti dei cambiamenti, per cui sono sempre più rari i banchi gestiti dagli stessi agricoltori; al contrario, prevalgono “i commercianti”, che vendono merce acquistata presso strutture distributive più ampie (mercati generali, centri agroalimentari). Questi soggetti diventano perciò ulteriori intermediari in una catena che non può nemmeno più definirsi corta. Inoltre gli attuali mercati contadini, per come sono organizzati, presentano un valore aggiunto dal punto di vista sociale e culturale che i mercati cittadini tradizionali non hanno, in quanto sono spesso occasione di condivisione e scambio di informazioni. Spesso, infatti, congiuntamente alla vendita dei prodotti agricoli vengono organizzati eventi, manifestazioni e momenti di riflessione, al fine di fornire informazioni ai consumatori e favorire la conoscenza e la comunicazione.
Il modello dei farmers’ markets  è stato importato dagli Stati Uniti, fonte privilegiata di tanti nuovi usi e costumi che arrivano all’Europa. Oggi negli Usa i farmers’ markets sono 4385 ubicati principalmente nelle grandi metropoli, ma con una rilevante differenza rispetto al modello prevalente in Italia. I prodotti venduti sono principalmente alimenti di consumo quotidiano, non contraddistinti da particolari caratteristiche qualitative. All’estero i farmers’ markets si inseriscono nel più generale fenomeno identificato dal termine Alternative food network (Afn) per indicare forme di vendita alternative a quelle ormai consolidate. In Europa, con anticipo rispetto all’Italia, diversi Paesi hanno sviluppato forme varie di canale diretto. Rispetto alle esperienze estere, ad un primo sguardo rivolto al nostro Paese, nel quale solo di recente si è inquadrato il fenomeno della vendita diretta, sembra emergere un’enfasi al sostegno del canale focalizzato sui prodotti tipici locali, che aiutano a conoscere il territorio circostante e a far crescere il turismo.
La questione della filiera corta (o canale corto o vendita diretta), intesa come l’insieme di attività che prevedono un rapporto diretto tra produttore e consumatore, per le diverse interpretazioni che di essa possono essere fornite e per la crescente attenzione che in Italia si è guadagnata negli ultimi tempi merita un approfondimento. L’esigenza è quella riflettere sulle implicazioni economiche, e non solo, di questo canale dal punto di vista della domanda e dell’offerta e di esaminare l’evoluzione che esso ha subito negli anni recenti.

L’importanza strategica della filiera corta dal lato dell’offerta e della domanda

Sia per pura sopravvivenza, sia per strategie di diversificazione della propria offerta, la vendita diretta rappresenta una opportunità di garantirsi un reddito sicuro o accrescere e integrare quello derivante dalla produzione primaria. Ad esempio, vi è l’occasione di trovare uno sbocco commerciale a prodotti da parte di imprese situate in aree marginali o di piccolissimi produttori, come chi coltiva per l’auto-consumo, che periodicamente ha delle eccedenze da vendere o di aumentare il valore aggiunto dei beni primari per coloro che attuano anche una attività di trasformazione. Dal punto di vista economico, i caratteri di stagionalità e territorialità che distinguono la vendita diretta consentono risparmi in termini di costi di produzione. La possibilità di rispettare il ciclo naturale delle stagioni, permette di limitare l’uso dell’energia necessaria. Con la vendita di prodotti su scala locale poi si evita il trasporto su lunghe distanze, risparmiando quindi in costi di conservazione, imballaggio e carburante.
Un contenimento dei costi di produzione e l’assenza di intermediazione hanno un impatto determinante sul fattore prezzo, tanto che i prodotti veicolati tramite canale diretto sono generalmente più convenienti per i consumatori rispetto a quelli proposti dai canali tradizionali.
Contemporaneamente, a questo risparmio dei consumatori corrisponde una possibilità per il produttore di ottenere una remunerazione ritenuta più adeguata dei fattori produttivi impiegati e di riappropriarsi di una parte del valore che usualmente si disperde nei vari passaggi lungo la filiera. Inoltre, si riesce a garantire una trasparenza sulla formazione del prezzo che il consumatore può valutare, cosa che diventa complicata nel caso di filiere con numerosi intermediari.
Da un sondaggio condotto dalla Coldiretti durante il 2007, la quota di italiani che hanno fatto almeno una volta acquisti direttamente dal produttore agricolo è salita a sette su dieci, dei quali la maggioranza giudica questo canale conveniente, attendendosi un risparmio medio del 30%; dalla stessa indagine emerge che il principale ostacolo agli acquisti è rappresentato dalla difficoltà di raggiungere le imprese agricole. La principale motivazione d’acquisto tramite questo canale è il risparmio (30% degli intervistati), seguito dalla possibilità di instaurare un rapporto diretto con i produttori (25%), le garanzie di freschezza, qualità e genuinità del prodotto (24%), la salvaguardia delle tradizioni e della cultura enogastronomia del territorio (12%) e infine per il 9% il minore inquinamento, il risparmio di energia e la difesa dell’ambiente legati al consumo dei prodotti locali.
Certamente, anche per effetto della crisi economica, nel tempo tra le motivazioni dominanti sembra farsi spazio quella legata al risparmio.
Tra gli aspetti che possono attirare i consumatori verso il canale diretto, vi sono quindi anche quelli di tipo ambientale e socio-culturale. Sempre dall’estero proviene l’espressione ormai entrata a far parte del nostro comune linguaggio del “food miles”, vale a dire del cibo “a chilometri zero”. Si tratta di un indicatore usato nei paesi anglosassoni per calcolare l’impatto ambientale del cibo, in base ai chilometri percorsi dal luogo di produzione al luogo di consumo. L’attenzione a questo aspetto consente di attribuire una connotazione di sostenibilità ambientale alla spesa alimentare. Un altro contributo al rispetto dell’ambiente deriva dal minore impatto della vendita diretta per quanto riguarda la eliminazione di scarti e residui collegati all’uso del packaging richiesto dalla distribuzione moderna. Inoltre, spesso il canale della vendita diretta diventa lo strumento ideale di diffusione dei prodotti biologici e da agricoltura integrata, ottenuti per definizione con minore uso di input chimici.
Un aspetto più prettamente socio-culturale è quello del rapporto diretto con le aziende agricole che diventa una occasione per recuperare un contatto con il mondo rurale, spesso dimenticato non solo in termini di freschezza e genuinità dei prodotti, ma anche di conoscenza dei cicli stagionali e delle peculiarità colturali locali e in più in generale di riscoperta della cultura rurale.

I riferimenti normativi sulla vendita diretta in Italia

La possibilità di effettuare la vendita diretta da parte delle imprese agricole italiane è stata codificata dalla legge del 2001 (Dlgs 228/01) secondo la quale gli imprenditori agricoli iscritti nel registro delle imprese possono vendere direttamente al dettaglio i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende. Agli agricoltori è consentito svolgere attività quali la trasformazione, manipolazione, conservazione, commercializzazione e valorizzazione previa comunicazione al comune di residenza. Successivamente, due circolari del Ministero delle attività produttive intervengono dichiarando non ammissibile tale forma di vendita per il settore ortofrutticolo.

La vendita diretta in Italia

Per avere un inquadramento sui dati relativi al fenomeno della vendita diretta in Italia, la fonte più aggiornata e completa fa capo all’attività dell’Osservatorio nazionale sulla vendita diretta che la Coldiretti ha creato insieme ad Agri 2000 nel 2005 allo scopo di tenere sotto osservazione il fenomeno nel nostro paese. Da quanto emerge dal secondo rapporto dell’Osservatorio riferito al 2007, le aziende che praticano la vendita diretta ammontano a 57.530 unità, con un incremento del 18% rispetto al 2005 e del 48% rispetto al 2001. Esse rappresentano il 6,1% del totale delle aziende agricole iscritte alle Camere di Commercio. L’area geografica nella quale è maggiore la presenza delle imprese con vendita diretta è il Nord, con una incidenza circa del 43%, seguito dal Centro, con il 34%.
Attualmente, la Regione che presenta il numero più elevato di aziende con vendita diretta, relativamente al totale nazionale è la Toscana (16,8%), seguita dalla Lombardia (10,6%) e dal Piemonte (10%). Prendendo in considerazione la quota di aziende con vendita diretta rispetto al totale delle aziende agricole di ciascuna Regione le prime 5 regioni risultano la Toscana (20,3%), l’Abruzzo (20,3%), la Liguria (15,7%), la Lombardia (13,8%) e il Trentino Alto Adige (13,5%). La vendita diretta è diffusa soprattutto nelle aziende del comparto vitivinicolo (37,2% del totale), ma una quota importante è rappresentata anche dalle aziende che offrono prodotti ortofrutticoli (27,7%) e dalle aziende del comparto olivicolo (19,5%), ma sono in crescita anche prodotti come i formaggi ed il miele, come si evince dalla variazione riscontrata tra il 2005 ed il 2007. Si può ipotizzare che la vendita diretta rappresenti il canale privilegiato di prodotti per i quali è determinante la percezione di freschezza e di salubrità da parte del consumatore, quindi per frutta e verdura; per prodotti ad alto valore aggiunto, quali vino e olio, il fattore risparmio nell’acquisto “alla fonte” diventa determinante o, a parità di prezzo, la garanzia di qualità influisce sulla disponibilità a sostenere la spesa elevata che in genere questi prodotti comportano.

Fonte: Agriregionieuropa

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