Pesci d’acqua dolce: curiosità e proprietà

Sono parte del patrimonio enogastronomico dell’Italia, sono versatili e dal sapore delicato. Stiamo parlando dei pesci d’acqua dolce che rappresentano l’altra faccia della famiglia dei pesci, leggermente meno saporiti dei loro fratelli marini in quanto l’elemento dove vivono è acqua dolce e non salata, consentono però ugualmente di realizzare gustosi pranzetti. Alcuni di questi hanno in realtà caratteristiche miste. Possono cioè vivere sia in acque dolci (fiumi, laghi, stagni) che nelle acque salate dei mari. Di solito la migrazione dai fiumi ai mari o viceversa avviene in determinati periodi della vita del pesce connessi con l’epoca della riproduzione o della deposizione delle uova.

Valore nutritivo – I pesci di acqua dolce hanno un valore nutritivo del tutto simile a quello dei pesci di acqua salata. Alcune differenze sono però riscontra­bili nel sapore delle carni: più delicato quello delle carni dei pesci d’acqua dolce che non hanno il caratteristico sapore di mare. Anche la digeribilità è ottima, se si eccettuano le carni dell’anguilla che presentano un ele­vatissimo contenuto di grassi del tutto inconsueto. Tra i pesci di acqua dolce più comuni molti si trovano nelle acque interne italiane, altri, tra i quali i pregia­tissimi pesce persico e salmone, sono importati dall’estero.

I pesci più diffusi

Anguilla – Dalle acque dolci o salmastre, che costitui­scono il suo habitat naturale, migra periodicamente in acque salate per riprodursi e affronta un lunghissi­mo viaggio attraverso l’Oceano Atlantico raggiungendo il mare dei Sargassi nei pressi di Cuba. L’anguilla viene anche allevata con tecniche semi-­industriali nei laghi costieri italiani, con acque salma­stre. Quelle in commercio provengono quasi esclusi­vamente dagli allevamenti. La cosiddetta “vallicoltu­ra”, vanto dei pescicoltori italiani, ha tradizioni pre­stigiose: i luoghi di produzione classici sono in vici­nanza del delta del Po, i laghi di Lesina e Varano, di Paola, di Ganzirri, la laguna di Orbetello e quella ve­neta da Chioggia a Grado. L’anguilla ha una vitalità eccezionale, ma le sue carni, molto ricche di grassi, si deteriorano rapidamente dopo la morte. Per questa ragione viene di solito venduta viva e cucinata subito; dopo la morte vengono solitamente congelate. Questo pesce, malgrado l’habitat fangoso dove con­duce la sua esistenza, non assume sapore di fango; in genere viene catturato prima che raggiunga il mezzo chilo per evitare che diventi troppo grasso, come il ben noto “capitone”. Offre il grande vantaggio di avere un’unica spina vertebrale centrale che ne facilita mol­to la preparazione e la pulizia.
Prima della cottura la pelle viscida dell’anguilla deve essere asportata. Per effettuare questa operazione è con­sigliabile strofinare prima il pesce con sale grosso o con farina gialla per rimuovere in parte la vischiosità; quin­di si taglia la pelle con un coltellino appuntito sotto la testa; la si stacca per qualche centimetro e, tirando in direzione della coda, la si sfila come un guanto. La spellatura risulta più facile appendendo per la testa il pesce ad un gancio. Si cucina in tranci, in umido o arrostita allo spiedo, oppure si scotta e si lascia marinare in un bagno d’a­ceto e spezie.
Carpa – Vive nelle acque a decorso lento e negli sta­gni. Può raggiungere dimensioni ragguardevoli fino a 70 centimetri di lunghezza e 20 Kg di peso. Viene allevata in stagni e risaie poco profondi dove l’acqua si può riscaldare facilmente. Il suo allevamento non richiede particolari cure in quanto è una specie parti­colarmente resistente; è onnivora e resiste al digiuno ponendosi in uno stato semi-letargico. Negli allevamen­ti si possono raggiungere anche rese fino a 1000 Kg per ettaro di superficie. E intensamente allevata in Un­gheria, Jugoslavia, Corea, Indocina, Filippine e Giap­pone dove varietà erbivore particolari vengono impie­gate anche come depuratori ecologici delle acque. Ha carni bianche e sode mediamente saporite. Si cucina in umido, al forno ed anche lessata. Poiché può assumere facilmente sapore di fango, pri­ma della cottura va lasciata spurgare in acqua e aceto.
Luccio – Vive nei laghi e nei fiumi. Carnivoro, noto per la sua voracità, può raggiungere dimensioni rag­guardevoli. Le sue carni, piene di lische, sono piutto­sto asciutte e richiedono l’accompagnamento di salse e condimenti. È preferibile acquistare tranci di pesce di dimensioni maggiori anziché pesci interi piccoli.
Pesce persico – Pesce di importazione; in Italia si è praticamente estinto. Vive nei laghi. Le sue carni so­no pregiate e costose. Si può cucinare intero, fritto o bollito, oppure filettato, al burro o panato.
Storione – Altro pesce, come il salmone, dalle carat­teristiche miste, marino e di acqua dolce; è abbondante specialmente nei fiumi della Russia che risale dopo il periodo della riproduzione trascorso nel mar Baltico. Con le uova di storione si prepara il caviale.
Tinca – Vive in ambienti analoghi a quelli scelti dalla carpa, cioè acque interne, a decorso lento e fangose. Le sue carni assumono sapore di fango; per questo mo­tivo deve essere tenuta per qualche tempo in acque lim­pide prima dell’abbattimento o a bagno prima di cu­cinarla. Può raggiungere dimensioni notevoli. Si cu­cina al forno, in umido, in carpione.
Trota – Il suo habitat naturale sono i laghi e i torrenti alpini, ma è oggi allevata in bacini lungo i corsi d’ac­qua delle zone montane o submontane in quanto esi­ge acque fredde che non superino d’estate i 20 °C. Ha una carne ottima e delicata, ma più grassa e meno sa­porita nelle trote di allevamento che in quelle pescate nei corsi d’acqua liberi.
Altri pesci d’acqua dolce di minore diffusione sono i barbi, i cavedani, la lasca, l’alborella, alcuni dei quali oggetto di allevamento.

L’acquacoltura

L’acquacoltura è il complesso delle operazioni che con­sentono la produzione controllata di organismi acqua­tici in ambienti confinati. La tecnica di produzione si basa sulla fecondazione artificiale delle uova spremu­te o fatte deporre dalle femmine nella loro maturità sessuale. Le uova fecondate vengono poi immesse in appositi bacini nei quali è disseminato il mangime. Per alcune specie, per le quali non sono ancora ben note le tecniche di riproduzione artificiale (è il caso delle anguille), l’allevamento consiste nella raccolta di esem­plari giovani allo stato naturale di libertà e nel confi­narli in appositi bacini o aree opportunamente deli­mitate dove, protetti dai pesci predatori e nutriti con mangimi calibrati, possono svilupparsi rapidamente. Le principali specie allevate in acque dolci sono la trota, la carpa, lo storione, la tinca, il pesce persico, il cave­dano, il luccio, il coregone e, tra i crostacei, il gambe­ro. Nel nostro paese l’allevamento delle trote, di cui è il maggiore produttore europeo, e delle anguille del­le Valli di Comacchio, rappresentano un motivo di vanto nella non brillante produzione nazionale. Due sono i principali problemi che si pongono nell’al­levamento artificiale di specie ittiche: le malattie dei pesci e l’inquinamento delle acque. Le condizioni di allevamento in ambienti delimitati con un numero enorme di esemplari presenti, per ragioni che si pos­sono facilmente immaginare, si prestano alla diffusio­ne di numerose malattie infettive o virali assai più che per esemplari che vivono allo stato libero e che hanno minori possibilità di contatto. Nel caso della troticol­tura, per esempio, la setticemia emorragica virale, che a tutt’oggi è incurabile, può determinare perdite nel­l’ordine del 30% della produzione totale. Altre ma­lattie gravi interessano l’allevamento delle carpe (viremia primaverile), delle anguille (peste rossa), del pe­sce gatto ecc. L’altro problema è quello dell’inquina­mento. L’uso di acquacoltura di acque inquinate è pe­ricoloso per l’allevamento stesso, ma anche per l’uo­mo. Per questo problema è più arduo proporre delle soluzioni immediate perché queste non possono pre­scindere dalle complesse relazioni tra uomo e ambiente.

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